Si può vivere senza cura? (a cura di Giuditta Serra)

“In questo mondo l’incuria regna sovrana”

The Care Collective, Manifesto della Cura

Come ben spiegato da The Care Collective in Manifesto della Cura, da quando le democrazie occidentali hanno abbracciato le politiche economiche del capitalismo neoliberista la crisi della cura si è aggravata: a partire dagli anni 80 del novecento, infatti, lo smantellamento sistematico delle politiche sociali e delle comunità ha portato ad una crisi che ha mostrato tutta la sua gravità in questo anno di pandemia[1]. Da decenni gli stati scelgono di ritirarsi dai compiti di cura lasciando indietro le persone più vulnerabili, deboli, povere e sole; scelta particolarmente grave in quanto non motivata da un effettivo calo dei bisogni o dall’integrazione di soluzioni alternative. Questo andamento provoca sostanzialmente due ordini di conseguenze a livello sociale: un generale abbassamento della qualità della vita e del benessere delle persone più fragili (solitudine, malattia e impoverimento[2]) e un appesantimento del carico di lavoro di cura invisibile, informale e non retribuito… svolto in massima parte dalle donne[3]. In quest’ottica i mancati investimenti nel welfare non sono stati veri e propri risparmi in quanto ci si è limitati a scaricare sulle donne il conto di quei servizi di cura che dovevano comunque essere garantiti[4]: basti pensare che in Italia solo il 13.5% dei bambini e delle bambine ha un posto nei nidi pubblici[5] o all’impatto che la DAD ha avuto sul lavoro delle donne durante i mesi di pandemia[6].

Crediamo sia giunto il momento di dare la giusta rilevanza politica al tema della cura; e il discoro che vogliamo affrontare prende le mosse da una premessa fondamentale, ossia da un ripensamento radicale della categoria di soggetto/cittadino che raccolga il guadagno di un certo pensiero femminile e femminista europeo e statunitense. La politica che ci interessa, infatti, non intende occuparsi dell’individuo così come teorizzato dalla politica moderna, ossia un soggetto sano, indipendente, autonomo e razionale, perché questa definizione non descrive le persone reali. La politica che ci interessa vuole occuparsi degli esseri umani: bambini e bambine, adolescenti, donne e uomini, persone malate, disabili, anziane e anziani, donne in gravidanza, genitori… persone che vivono nella società con i propri corpi relazionali, vulnerabili, fragili, interconnessi e dipendenti. Perché è così che siamo: fin dal momento della nascita gli esseri umani hanno necessariamente bisogno di cure per poter vivere[7]! Infanzia, malattia, gravidanza, disabilità e vecchiaia non sono stati eccezionali e temporanei, ma momenti naturali e fondamentali della vita durante i quali le persone hanno bisogno di cure per poter vivere; di cure adeguate e professionali per vivere bene.

Per troppo tempo “la dipendenza dalla cura è stata patologizzata anziché essere riconosciuta come parte integrante della condizione umana”[8] e troppo a lungo il lavoro di cura è stato considerato una questione privata o di second’ordine; è giunto il momento che la cura diventi principio organizzatore della società e della politica.

Per usare le parole di The Care Collective, come persone e come comunità abbiamo bisogno di una cura che sia condivisa, collettiva, universale e promiscua[9], attivata attraverso il lavoro relazionale delle comunità e organizzata a livello istituzionale grazie alla creazione di servizi pubblici. Vogliamo una cura che si occupi delle persone e dei loro corpi, ma anche dei bisogni relazionali, educativi e culturali; una cura che non offra solo la sopravvivenza, ma che garantisca una vita buona alle persone più fragili. Una cura che tenga in considerazione la reciproca interdipendenza e favorisca il proliferare di legami sociali, grazie all’accesso a luoghi pubblici di comunità e democrazia; una cura verso il mondo urbano e naturale.

In questa prospettiva è necessario che l’intera società sia coinvolta nelle attività di cura, al di fuori dei limiti familiari e in una prospettiva di corresponsabilità nei confronti della comunità, degli stati esteri e dell’intero pianeta[10]; perché “…là fuori ci sono altri da cui dipende la mia stessa vita. Persone che non conosco e non conoscerò mail. (…) Nessuna misura di sicurezza potrà impedire tale dipendenza, nessun atto violento di sovranità potrà liberarci da tale condizione”[11]. Sebbene queste righe siano state scritte in un contesto molto diverso da quello attuale, mai come oggi risuonano vere: davanti all’aggravarsi della crisi climatica e nel vortice dell’attuale pandemia emerge chiaramente il legame profondo che lega le nostre vite a quelle di persone vicine e lontane, al mondo naturale e al pianeta tutto. Da qui sorge[12] il dovere politico di prendercene cura.


[1] The Care Collective, Il manifesto della Cura, Alegre Editori, Roma 2020, p. 19.

[2] È consolidata da decenni la tendenza globale ad accentrare la ricchezza nelle mani di pochi a discapito di larghe fasce della popolazione mondiale, fenomeno che interessa anche le democrazie europee. Per una panoramica sulla situazione in Italia si veda il rapporto Oxfam Italia 2021: https://www.oxfamitalia.org/disuguitalia-2021/#:~:text=Il%20panorama%20delle%20disuguaglianze%20economiche,all’epoca%20del%20COVID%2D19&text=A%20met%C3%A0%202019%20%E2%80%93%20secondo%20gli,met%C3%A0%20pi%C3%B9%20povera%20della%20popolazione.  

[3] Caroline Criado-Perez, Invisibili, Einaudi Editore, Torino 2019, pp. 348-349.

[4] Ibidem, p. 345.

[5] https://www.istat.it/it/archivio/236666

[6] https://www.istat.it/donne-uomini/bloc-3d.html?lang=it

[7] Adriana Cavarero, Inclinazioni, Raffello Cortina Editorie, Milano 2013, pp. 141-142.

[8] The Care Collective, Manifesto della Cura, cit., p. 37.

[9] Ibidem, p. 53.

[10] Ibidem, p. 33.

[11] Judith Butler, Vite Precarie, Maltemi Editore, Milano 2004, cit., p. 10.

[12] Adriana Cavarero, Democrazia sorgiva, Raffello Cortina Editorie, Milano 2019, p. 25.

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