#cittàpertutte: una campagna di “gender mainstreaming” urbano (a cura di Michela Nota)

“Gli spazi pubblici fanno da cornice a una miriade di interazioni sociali di genere. Come risultato di questi interazioni, diventano gli stessi spazi pubblici di genere”

(UN Women 2016)

Partendo da questa considerazione abbiamo lanciato la campagna #cittàpertutte, per richiamare l’attenzione all’equità di genere negli spazi pubblici della nostra città. Il contesto urbano e la vita cittadina hanno un impatto sociale, culturale, contestuale e relazionale decisivo sulla vita delle persone che abitano questi spazi; per questo è necessario cambiare approccio nella progettazione urbana. Sono infatti le persone a dover essere messe al centro dell’attenzione quando si pensa agli spazi pubblici, con uno sguardo alle esigenze di ognuna di esse.

Purtroppo, troppo spesso l’essere umano viene concepito solo come universale e nella progettazione delle città si pensa a un fruitore-Uomo con la U maiuscola, quindi non vengono prese in considerazione le esperienze sensoriali, i bisogni e il modo di vivere la città di tutte quelle persone che non sono comprese da questo soggetto che si pretende universale. Scrive Leslie Kern in Feminist City: «The city has been set up to support and facilitate the traditional gender roles of men and with men’s experience’s as the “norm” […]. This is what I mean by the “city of men”». Il soggetto universale per cui sono pensate le città è un «uomo bianco di mezza età» e le barriere fisiche, sociali, economiche e simboliche che le donne percepiscono nelle loro vite quotidiane sono invisibili agli uomini, poiché nelle loro esperienze quotidiane raramente le incontrano.

Nella progettazione della città viene troppo spesso trascurata l’esperienza vissuta dalle persone, a partire dai corpi e dalla loro relazione con lo spazio; infatti, le esperienze di ciascuna/o dipendono dal sesso, dall’età e dal contesto di appartenenza. Le città sono pianificate come se tutti avessero gli stessi prerequisiti per viverla ed essere attivi in essa, ma questo vuol dire pianificare gli spazi urbani per un unico tipo di individuo che molto spesso è sia soggetto d’indagine, che decisore politico e urbanista. Questa semplificazione può generare problematiche dal punto di vista sociale, culturale e della salute della cittadinanza, in quanto può dissuadere alcune persone dall’utilizzare gli spazi pubblici in quanto percepiti come pericolosi o inaccessibili: marciapiedi troppo stretti per passeggini o carrozzine, parchi o vie poco illuminate e mancanza di bagni pubblici puliti e sicuri sono alcuni semplici esempi di barriere che le donne incontrano nel vivere la città.

Per uno sviluppo urbani femminile delle città bisogna senza dubbio partire da un ripensamento della mobilità, in quanto le esigenze delle donne sono molto diverse da quelle degli uomini dal momento effettuano spostamenti più brevi e frequenti dei maschi e molto spesso si spostano a piedi e utilizzano più spesso i mezzi pubblici (basti pensare alle commissioni quotidiane o alle esigenze di bambini e bambine). In secondo luogo acquista grande importanza il tema dell’illuminazione, soprattutto durante le ore più buie o nelle zone meno frequentate, così come una progettazione che incoraggi la frequentazione degli spazi più nascosti in modo che le donne non si sentano sole; a questo si aggiunge il tema della dimensione degli spazi, non aperti e ampi ma frazionati in porzioni più piccole e raccolte, a misura di essere umano, spazi pubblici che facilitino il dialogo, la socializzazione e l’interazione; infine, le donne manifestano la necessità di avere a disposizione bagni pubblici puliti e spazi nella città in cui poter trovare un po’ di riservatezza per allattare il/la proprio/a figlio/a.

La prospettiva femminile intersezionale (ovvero che incrocia le caratteristiche di genere, classe, abilità e razza) nello sviluppo urbano cerca di affrontare proprio questa sfida. Comprendendo meglio l’uso degli spazi da parte di donne, bambini, persone anziane e gruppi minoritari, e ascoltando le loro idee rispetto a ciò che rende vivibile una città, possiamo scoprirla con nuovi occhi e prendere in considerazione aspetti sociali e culturali prima inascoltati. Un approccio da un punto di vista femminile alla pianificazione urbana può inoltre creare condizioni migliori per la salute pubblica, sociale e mentale, oltre a quella fisica, sfidando la città a promuovere la salute per tutti i diversi tipi di persone. L’invisibilità delle donne – per utilizzare un’espressione di Caroline Criado-Perez – e la cecità dello sguardo maschile dinanzi alle necessità femminili è evidente in ogni ambito e, a fronte di questo, occorre dare voce e figura alle donne. Mettere un simbolo che renda di genere femminile gli individui rappresentati sulla segnaletica stradale è per Cittàperta un modo di chiedere questo cambiamento di prospettiva denunciando l’invisibilità del femminile, che spesso viene interiorizzata come “naturale” anche dalle donne stesse.

Lo sviluppo urbano da un punto di vista femminile è uno strumento inclusivo per tutti i gruppi demografici, che richiede di prendere avvio dalla comprensione dei diversi valori, background sociali e culturali che le donne hanno. Questo approccio deve essere preso in considerazione per progettare nuovi spazi urbani e deve essere considerato anche in quelli esistenti, al fine di comprendere quali interventi possono essere pensati per incoraggiare e incentivare la partecipazione di una maggiore diversità di utenti.