Il tempo è ora: Brescia, città inclusiva? (a cura di Giuditta Serra)

Abitare. Abitare una casa, una strada, un quartiere, una città. Il tema è di primaria importanza per il vivere individuale e sociale e, mai come negli anni del covid, è diventato lampante come l’abitare non sia un fatto esclusivamente privato, quanto il frutto dell’incrocio di coordinate delineate da condizioni economiche, ambienti sociali, politiche urbane e contesti comunitari.

Come Cittàperta abbiamo scelto di riflettere sul tema dialogando con persone che si occupano dell’abitare Brescia da anni, lavorando a partire da punti di vista differenti e con metodi complementari. In particolare, come moderatrice della serata abbiamo avuto il piacere di dialogare con l’attivista Lara Cornali di Associazione Perlar, il presidente di Associazione Parco di Piero William Gargiulo, il presidente della Cooperativa La Rete Domenico Bizzarro e il presidente del Consiglio Comunale Roberto Cammarata.

L’incontro è stato l’occasione per conoscere concretamente il lavoro delle diverse realtà invitate, a nostro parere davvero prezioso, al fine di scoprire le loro sperienze e riflettere insieme su quale sia la cifra del loro lavoro, il metodo e l’approccio che rendono efficaci e virtuose queste proposte.

A partire proprio dall’impegno di associazione PERLAR raccontato da Cornali, il cui nome significa “Per La Relazione”, ed è un’associazione di giovani nata per dare supporto alle persone senza fissa dimora attraverso l’organizzazione di eventi e iniziative, al fine di dar loro sostegno ed evitarne, o quantomeno mitigare, l’isolamento e l’emarginazione sociale. L’associazione si fa anche portavoce presso le istituzioni al fine di perorare la causa delle persone senza dimora e promuovere politiche necessarie all’avviamento di percorsi di riscatto, come per esempio la possibilità di formalizzare l’iscrizione anagrafica nel territorio del comune di soggiorno.  

La seconda esperienza presentata da Gargiulo è il progetto CIBO PER TUTTI, nato come esperienza spontanea e autogestita di mutuo-aiuto per rispondere al bisogno di svariate persone e famiglie che nei primi mesi del 2020 si sono trovate all’improvviso senza possibilità di sostentamento a causa dell’emergenza Covid-19; il progetto è nato nella cucina del ristorante di Iyas il quale, non volendo sprecare le scorte in scadenza del ristorante costretto alla chiusura, ha avviato un primo sistema di distribuzione di pasti a domicilio. In breve tempo il bisogno e le richieste sono aumentate, così come si si sono moltiplicate le offerte di aiuto e collaborazione, fino ad arrivare all’erogazione di decine di migliaia di pacchi all’anno. Questo grande risultato è senza dubbio stato reso possibile dalla disponibilità dei volontari e dalla capacità di lavorare insieme, per un progetto condiviso.

In ultimo abbiamo ascoltato il racconto di Bizzarro, il quale ha ripercorso i trentacinque anni di lavoro della cooperativa La Rete che si è impegnata per migliorare il benessere e la qualità della vita delle persone con disabilità, offrendo percorsi personalizzati di accompagnamento per gli utenti e le loro famiglie. Un lavoro svolto a cavallo tra le contraddizioni imposte da politiche locali troppo spesso schiacciata tra punti programmatici e ricerca del consenso, ma sempre cercando di costruire un percorso condiviso di responsabilità con beneficiari, personale dipendente e persone volontarie, che a diverso titolo hanno collaborato alla realizzazione dei servizi. Un impegno che ha cercato di raggiungere l’obiettivo casa attraverso percorsi di autonomia abitativa centrati sul lavoro e sul sostegno reciproco.   

È stato interessante partire da queste testimonianze per riflettere insieme e individuare gli elementi salienti di queste esperienze, ossia quegli approcci che hanno determinato un cambio di modello permettendo un passaggio dall’assistenzialismo classico ad un formato più partecipativo e comunitario. Il primo elemento dirimente, emerso da tutti e tre i racconti, è stata senza subbio la scelta di passare dal “fare qualcosa per” al “fare qualcosa con”. Infatti, quello che portiamo a casa dal punto di vista della riflessione civica, è sicuramente un senso di convergenza rispetto ad alcune parole, che sono state riprese e rilanciate da tutte le persone intervenute nel dibattito: in primo luogo i termini relazione e insieme, che sono diventati strumento e metodo per lavorate a partire dalle diversità in modo sinergico. Infatti, le esperienze raccontate hanno in comune il tentativo di superare la dicotomia tra aiutante e bisognos*, nel tentativo di creare servizi che possano essere luoghi di comunità abitati da persone diverse, in relazione tra loro, ognuna a partire dalle proprie fragilità ma anche dai propri punti di forza, in un circolo virtuoso in cui anche i/le cosiddett* beneficiar* possono scoprirsi risorsa. In questo dialogo il tema della relazionalità è stato indicato come decisivo non solo a livello personale, ma anche come metodo di lavoro tra le diverse realtà che abitano la città: associazioni, cooperative, privato sociale, industria, pubblica amministrazione e istituzioni. I luoghi di comunità sono, e devono essere, abitati dalla diversità: da diversi desideri e diverse vocazioni che coabitano nello stesso spazio pubblico e, mossi dalla responsabilità, si combinano generando approcci complessi finalizzati alla cura condivisa della collettività. Perché il convivere delle diversità, e Brescia ha una lunga esperienza in materia, pone sfide importati per la società civile, la quale è chiamata a trasformarsi e a trovare pratiche e strategie capaci di promuovere e rigenerare ogni giorno la concordia civile.

Da qui ha preso il via anche la riflessione di Cammarata, il quale ha cercato di rappresentare in che modo, e in quale misura, questo contesto proattivo e multiforme rappresenti una sfida permanente non solo per la società civile, ma anche per l’amministrazione pubblica, la quale si trova giorno dopo giorno a dover coniugare, avvicinare e ricucire, le politiche di sistema con le iniziative spontanee dalla società civile. Cammarata ha esplicitato che il lavoro dell’amministrazione comunale ha fortemente voluto valorizzare il lavoro del privato sociale e delle associazioni, nella consapevolezza che le istituzioni non possono, e non vogliono, essere le uniche custodi responsabili della cittadinanza e della comunità. Per far sì che questo avvenga è responsabilità dell’amministrazione locale integrare le diverse anime della città: costruendo un sistema che permetta ai servizi sociali di coesistere con le iniziative di mutuo-aiuto, alle realtà imprenditoriali di collaborare con le associazioni di volontariato, al privato sociale di integrarsi con i servizi pubblici e con il mondo del privato. Esperienza e contesti che hanno velocità ed esigenze diverse, ma che insieme possono rispondere in modo integrato ai problemi e alle sfide che, sempre più spesso, si presentano in modo irruento e con carattere emergenziale.

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