Elezioni amministrative: affluenza e parità di genere (a cura di Andrea Rolfi)

Pur rallegrandomi per la vittoria dei tanti candidati sindaco del centrosinistra in queste elezioni amministrative, sopratutto nelle città capoluogo di provincia, non posso fare a meno di cogliere due dati preoccupanti che scaturiscono da questa tornata elettorale.

Il primo dato, di cui si è già parlato nelle scorse settimane, è quello relativo all’affluenza. Negli anni abbiamo visto un costante calo nella partecipazione al voto tra elezioni politiche ed europee, ma ora che si è palesato, in maniera ancor più dirompente, anche in queste elezioni amministrative, forse riusciamo a renderci conto di quanto la nostra democrazia rappresentativa sia in crisi. Tra le cause di questa disaffezione merita, a mio avviso, menzione la cosiddetta legge dei sindaci. La legge 81/1993 è stata istituita a cavallo tra la prima e la seconda Repubblica, nella stagione della crisi irreversibile dei partiti di massa: la Dc si stava sgretolando sotto la mannaia di “Mani Pulite”, il PCI aveva cambiato nome e identità e il PSI diventava sempre più irrilevante. Essa ha rappresentato la personalizzazione della politica, i “prodromi dell’uomo solo al comando” (cit. Alfredo Morganti) e ha sancito il passaggio del potere politico dalle collettive e complesse organizzazioni partitiche alla figura del singolo leader a cui affidarsi per risolvere i problemi. La legge prevede che al Sindaco, scelto direttamente dagli elettori e reputato quindi più “vicino” ad essi e alle loro necessità, venga affidato, tra le altre cose,il potere di nominare e revocare gli assessori a suo piacimento e di concludere anticipatamente la legislatura in caso di dimissioni; essa ha inoltre introdotto un meccanismo elettorale maggioritario che ben poco spazio politico lascia a chi fatica a trovarsi in una delle due coalizioni principali e ha sminuito gravemente il ruolo del Consiglio Comunale, passato da luogo primario di discussione pubblica e decisioni a ricoprire il ruolo di sostenitore delle scelte strategiche per le città prese da Giunta e Primo Cittadino. Può essere che i cittadini si siano stancati di questo sistema che li vede passivi nella scelta di una persona ogni cinque anni e non cittadini attivi rappresentati nel dibattito pubblico e assembleare? Possiamo mettere in discussione un modello che, come testimoniano i dati elettorali, non funziona più? Sarebbe bello si potesse iniziare una discussione pubblica su questo.

Il secondo punto è quello relativo alla mancata presenza di candidate di genere femminile per la carica di sindaco in quasi tutte le città. Oltre alle due presentate dal M5S a Torino e Roma, nient’altro all’orizzonte: il centrodestra ha preferito schierare candidati impresentabili un po’ ovunque (vedasi soprattutto Milano e Roma) mentre il centrosinistra ha puntato su profili decisamente migliori e validi, ma sempre di genere maschile (eccezion fatta per la regione Calabria dove la partita era data per persa). Alcune donne, ad esempio la brava Emily Clancy a Bologna, diverranno vice dei nuovi eletti, ma possiamo veramente accontentarci di questo? Se veramente la sinistra vuole essere all’avanguardia sui temi di genere, non serve un po’ più di coraggio nelle scelte? Continuiamo a pensare che ci serva il leader maschio forte o mettiamo davvero in pratica con gesti forti quello che da tempo la società chiede, ossia che la politica non è cosa riservata agli uomini e che un approccio femminista possa essere migliorativo in tutti gli ambiti della nostra società? Nella nostra comunità ci sono soggetti femminili competenti, capaci e che si spendono notevolmente per la collettività, ma non viene loro permesso di emergere e vengono spesso messe in ombra da colleghi meno meritevoli e dotati, ma uomini e premiati in quanto tali. Questo accade sia nei luoghi di lavoro che negli ambienti politici. Per fare degli esempi, Christine Lagarde, Ursula Von der Leyen e, fino a poche settimane fa, Angela Merkel erano le tre figure ai vertici delle istituzioni europee. Tutte e tre donne, nessuna appartenente politicamente alla sinistra. Urge riflettere, ma soprattutto agire.E a Brescia? Se guardiamo agli ultimi vent’anni il centrosinistra unito non ha mai presentato una candidata sindaca, ma ha sempre optato per colleghi uomini. Il centrodestra invece l’ha fatto per ben due volte (Beccalossi e Vilardi). Nel 2023 si vota, il bravo sindaco Del Bono non si potrà ricandidare e si aprono possibilità per una figura femminile. Sarà la volta buona per vedere una candidata credibile, competente e soprattutto donna? Mi auguro di sì e se così non dovesse essere, spero si lavori in quest’ottica da qui al 2028. Perché buona cosa è parlare di parità di genere, ma per essere credibili agli occhi dell’elettorato, bisogna anche metterla in pratica.

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